Ha   emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  r.g.  appelli
6206/1999  depositato  il  16  settembre  1999,  avverso  la sentenza
n. 512/2/1998  emessa  dalla  Commissione  tributaria  provinciale di
Napoli  da:  Imposte  dirette di Napoli II Ufficio; controparte: Dodo
D'Angio'  S.r.l.  in  liq.,  residente  a Napoli in via Nolana n. 28,
rappresentato  da:  Alvino  Giovanni,  residente  a  Napoli in via S.
Domenico  n. 12,  in qualita' di liquidatore, difeso da D'Urso Lucio,
residente a Napoli, in Corso Umberto I n. 381.
    Atto impugnato: avv. Di Mora n. 1500869 - IRPEG + ILOR 88.

                      Svolgimento del processo

    A  seguito  di  avviso  di mora notificatole il 20 novembre 1997,
relativamente  al  periodo  d'imposta  1 gennaio - 4 ottobre 1988, la
S.r.l.  Dodo  D'Angio'  il  5  dicembre  1997 notifico' ricorso al II
Ufficio  distrettuale  II.  DD. di Napoli, poi depositato nei termini
alla   Commissione  tributaria  provinciale,  con  il  quale  eccepi'
anzitutto  l'intempestivita'  dell'avviso, in quanto notificato oltre
il termine previsto dall'art 36-bis del d.P.R. 600/1973, che dovrebbe
intendersi,  secondo  la  ricorrente,  a pena di decadenza e riferito
all'iscrizione  a  ruolo; osservo' poi che nessuna cartella era stata
in  precedenza  notificata,  per  cui  era  venuta a conoscenza della
pretesa  erariale  solo  con  l'avviso  de  quo,  ovvero a ben 4 anni
dall'emissione   del   ruolo   ed   a  9  dalla  presentazione  della
dichiarazione  dei  redditi, venendo cosi compromesso il diritto alla
difesa. Nel merito, imputo' ad errore l'importo IRPEG di L. 3.083.013
iscritto   a   ruolo,   avendo  subito  ritenute  per  L.  20.077.000
regolarmente esposte in dichiarazione.
    Il  5  febbraio 1998, ovvero oltre il termine previsto dal d.lgs.
546/1992,  l'Ufficio  si  costitui'  in  giudizio ed articolo' le sue
controdeduzioni  in  3 punti. Al primo preciso' che il termine del 31
dicembre   dell'anno  successivo  a  quello  di  presentazione  della
dichiarazione,    previsto    dall'art. 36-bis,    ha   solo   natura
acceleratoria  e  non e' perentorio, mentre lo e' quello previsto dal
successivo  art. 43  del d.P.R. 600/1973, cui fa rinvio l'art. 17 del
d.P.R.  602/1973,  per  la  iscrizione  a  ruolo;  al  secondo  punto
contesto'  le  doglianze  della  Societa'  relativamente  all'importo
iscritto  a  ruolo, in quanto dovuto alla discordanza fra le ritenute
esposte   in   dichiarazione   a   quelle   effettivamente  subite  e
documentate;  al  terzo  ribadi'  che  l'iscrizione a ruolo era stata
fatta  nel  1993 e cioe' nel termine previsto dal prefato art. 17 del
d.P.R.   n. 602/1973,   per   cui   ogni  ritardo  andava  contestato
all'esattore;  sottolineo',  infine,  che  la documentazione relativa
alle  ritenute  andava  conservata  per  10  anni, conformemente alla
normativa civilistica cui fa rinvio l'art. 22 del d.P.R. n. 600/1973.
    La  Commissione  accolse  il ricorso della Societa', motivando la
sentenza  anzitutto  con la mancanza di una precedente notifica della
cartella  esattoriale,  mentre  dall'avviso  di  mora  non  era  dato
individuare   il  perche'  dell'iscrizione  a  ruolo  dell'IRPEG  per
l'importo di L. 3.083.013 e dell'ILOR per quello di L. 185.000, oltre
interessi e soprattasse, tanto piu' che i relativi imponibili, recati
dall'avviso  stesso,  corrispondevano a quelli risultanti dalla copia
della  dichiarazione  prodotta  dalla ricorrente Societa' e che dalla
documentazione  in  atti  non  era  stato  possibile  individuare  le
ritenute  escluse  dall'Ufficio;  nei  fatti,  concluse  la sentenza,
l'avviso di mora era stato notificato ad oltre 6 anni dal termine del
31  dicembre  1990, previsto dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973,
per  il  controllo della dichiarazione afferente il 1988 e presentata
nel 1989.
    Detta  sentenza  fu  impugnata  nei  termini con l'appello di cui
trattasi,  nel  quale  l'Ufficio contesto', in primis, l'affermazione
secondo   la   quale   nulla   esso   avrebbe   controdedotto   circa
l'inosservanza  del termine prescritto dall'art. 36-bis prefato ed al
tempo  trascorso  tra  la dichiarazione e la pretesa erariale, mentre
invece  cio'  era  stato  ampiamente  confutato.  In  realta',  nella
sentenza  e'  detto  che  l'Ufficio "non contesta" la circostanza che
nessuna  cartella  era  stata  notificata  prima  dell'avviso di mora
notificato  il  20  novembre 1997. Osservo' poi che eventuali difetti
della notifica dell'avviso di mora andavano addebitati all'esattore e
che la sua tardivita' si era tradotta in un vantaggio per la Societa'
contribuente,  atteso  che  nessun  aggravio ne era ad essa derivato,
rispetto  alle  somme  tempestivamente  iscritte a ruolo; il ritardo,
comunque,  era  dovuto  al  cambio della gestione esattoriale ed alle
ricerche   rese   necessarie   dallo   stato  di  liquidazione  della
ricorrente.  Nel  merito,  venne  poi contestata l'affermazione della
sentenza  secondo la quale l'esame dell'avviso di mora non consentiva
di  individuare i motivi dell'iscrizione a molo, giacche' tali motivi
erano   stati  individuati  dalla  parte  e  precisati  dall'Ufficio.
Eccepi',  ancora,  che  la  sentenza  avesse  preso in considerazione
l'ILOR  che  la parte non aveva contestato, nonche' la corrispondenza
tra  gli  imponibili  esposti  in  dichiarazione  e quelli risultanti
dall'avviso di mora e, all'affermazione della Commissione, secondo la
quale   dalla   documentazione   in  atti  non  era  stato  possibile
individuare  eventuali  somme escluse dall'Ufficio, l'appello rispose
che   le  iscrizioni  a  ruolo  ex  art. 36-bis  d.P.R.  n. 600/1973,
scaturendo  da  situazioni  chiare,  riscontrabili  ictu  oculi,  non
abbisognano  di  motivazioni;  tale individuazione, tuttavia, sarebbe
stata   controdeduzioni)   ed  aggiungendovi  gli  aggi  esattoriali.
Osservo',  infine,  che  sarebbe bastata leggere la documentazione di
parte per trovarvi 12 fatture con ritenute operate anziche' subite.
    Il  lungo appello, ribadito che la ritardata notifica dell'avviso
di  mora  si  era tradotta in vantaggio per la Societa', aggiunse che
nessun  altro  termine  perentorio,  oltre  quello per l'iscrizione a
ruolo,  puo'  essere  eccepito  in  materia di riscossione e concluse
chiedendo  l'annullamento della sentenza e la condanna dell'appellata
alle spese di giudizio.
    Quest'ultima controdedusse nei termini, chiedendo preliminarmente
la  conferma  della  sentenza;  fece presente, poi, che l'Ufficio non
avrebbe  potuto  muovere  nuove  eccezioni, ai sensi dell'art. 57 del
d.lgs.  546/1992,  rilevando in proposito che non aveva contestato in
primo   grado   la   documentazione  contabile  allegata  al  ricorso
introduttivo  e  costituita  dai  versamenti  a  saldo  nonche' dalle
ritenute  subite  dai  propri  clienti,  comprovate  in  parte  dalle
apposite  certificazioni  ed  in  parte  da  copie di fatture emesse.
Concluse  chiedendo  il rigetto dell'appello con vittoria delle spese
ed allego' copie di fogli del libro giornale.
    In  sede  di  pubblica  udienza  le  parti  si  riportarono  alle
rispettive richieste formulate negli atti processuali.

                       Motivi della decisione

    Nel merito, l'appello, all'osservazione della Commissione secondo
la  quale  l'esame  del  solo  avviso di mora non aveva consentito di
individuare  i motivi dell'iscrizione a molo, rispose che tali motivi
erano  stati invece individuati dalla parte e precisati dall'Ufficio.
Cio',   pero',   non   puo'   ritenersi  sufficiente  per  invalidare
l'osservazione,   in   quanto  il  contenuto  assolutamente  ermetico
dell'avviso  di  mora  de  quo,  non  poteva consentire di cogliere i
suddetti    motivi,    che   devono   costituire   invece   requisito
oggettivamente  essenziale  dell'atto  amministrativo  ai  fini della
difesa  del  suo  destinatario,  tanto  piu'  che  l'avviso  medesimo
confermava   gli  imponibili  dichiarati.  Altrettanto  infondata  si
dimostra  l'affermazione  apodittica secondo la quale non abbisognano
di  motivazioni  le  iscrizioni ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973. In
particolare,  l'Ufficio  non  aveva  mosso  alcun  rilievo, nelle sue
controdeduzioni,  circa la documentazione delle ritenute subite dalla
societa'  ed  allegata in fotocopia al ricorso introduttivo, anche se
essa   era   costituita   solo  per  L.  14.923.369  da  18  regolari
certificazioni  e  per  L.  4.853.883  da  12 fatture, in verita' non
idonee  a  tale  documentazione,  per  un ammontare complessivo di L.
19.777.252  e,  quindi,  con  una  differenza  di L. 300.000 rispetto
all'importo  di  L.  20.077.000 esposto nella dichiarazione mod. 760;
per  l'esclusione  dell'importo  restante,  fino al raggiungimento di
quello  iscritto  a  ruolo, l'ufficio nessuna spiegazione aveva dato,
per  cui appare giustificata l'affermazione contenuta nella sentenza,
secondo la quale dalla documentazione in atti non era stato possibile
individuare  eventuali  somme  escluse  dall'ufficio stesso il quale,
nell'appello  considero'  le  ritenute  esposte  nelle fatture emesse
dalla  societa'  ricorrente  come  operate e non come subite, il che,
peraltro, avrebbe comportato l'addebito per l'importo suesposto di L.
4.853.883, e non per i 3.054.000 che si evincono dalla differenza tra
i   20.077.000   ed   i  17.023.000  esposti  nelle.  controdeduzioni
dell'ufficio,  ma  divenuti  3.083.013 in sede di iscrizione a ruolo.
Cio'  induce  nel  sospetto che alla base dell'avviso de quo vi siano
altri errori, per cui si appalesa piu' che legittimo il rilievo circa
la  impossibilita'  di  individuare i motivi dell'iscrizione a ruolo,
che emerge dalla sentenza.
    Di  maggiore portata si presenta la controversia sotto il profilo
procedurale ovvero della tempestiva conoscenza della pretesa erariale
da  parte  del  contribuente,  come e' stato rilevato nella impugnata
sentenza.  Invero,  la  vexata  quaestio  circa  la  perentorieta'  o
ordinarieta' del termine fissato dall'art. 36-bis per la liquidazione
delle  imposte in base alle dichiarazioni presentate ha eluso, forse,
l'aspetto  piu'  saliente  connesso  a  tale  liquidazione, che e' la
conoscenza  di  essa e del conseguente titolo di debito, da parte del
contribuente.  Il  termine suddetto, infatti, trova, comunque, il suo
limite  temporale  nel  termine  per  l'iscrizione  a ruolo previsto,
questa volta a pena di decadenza, dall'art. 17 del d.P.R n. 602/1973,
che  fa  rinvio  all'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973. Sicche' e' sulla
natura  e  sulla  ratio  di  questo  termine  che occorre focalizzare
l'attenzione  perche', essendo posto dalla legge a pena di decadenza,
sembrerebbe  costituire  anche  il  limite entro il quale l'attivita'
dell'amministrazione  finanziaria  per  la formazione del ruolo debba
essere portata a conoscenza della cantroparte interessata, avvero del
contribuente.
    Il  termine  decadenziale,  si osserva, presuppone l'esistenza di
una  controparte,  nei  cui confronti deve essere rispettato, il che,
per conseguenza, sinallagmatica, comporta il diritto al controllo che
la controparte deve poter esercitare; ne discende che, affinche' cio'
si  verifichi,  la  controparte  deve  conoscenza  dell'esercizio del
diritto  nei  suoi  confronti, proprio entro il termine decadenziale,
attraverso un atto che, percio', deve considerarsi recettizio.
    Nella  fattispecie di cui trattasi, quindi, l'iscrizione a molo o
semplicemente  il  ruolo, che e' l'atto esecutivo per la riscossione,
non  dovrebbe  potersi  considerare  tale se non con la notifica alla
controparte   entro  un  termine  decadenziale.  Ma,  nella  soggetta
materia,  cosi'  non  era e non e'. Infatti e' pur vero che l'art. 17
del  d.P.R. n. 602/1973 prevedeva un termine di decadenza, ma non per
la  notifica alla controparte, bensi' per la formazione e la consegna
dei  ruoli  dall'ufficio impositore all'intendenza di finanza, di tal
che'  detto  termine  risultava posto all'amministrazione finanziaria
unicamente  nei  confronti  di  se  stessa e non del contribuente. Il
successivo art. 23, nella stesura in vigore fino al 31 dicembre 1997,
prevedeva  la  apposizione,  da parte dell'Intendente di finanza, del
visto  di  esecutorieta'  dei  ruoli, i quali, ai sensi dell'art. 24,
venivano  poi consegnati all'esattore, prescrivendo unicamente che la
consegna  avvenisse  con 90 giorni di anticipo rispetto alla scadenza
del  pagamento,  ma  senza  fissare, per tale scadenza, alcun termine
decadenziale e, di conseguenza, neanche per la consegna dei ruoli.
    Fino  a  questo  punto,  quindi,  al contribuente nessuna notizia
della  pretesa  erariale  nei  suoi  confronti  era pervenuta, se non
attraverso    l'attivita'   istruttoria   prevista   dal   3o   comma
dell'art. 36-bis,  introdotto con decorrenza dall'1 gennaio 1989, per
la  quale erano previsti, senza alcuna prescrizione formale, contatti
telefonici  o  per posta e, con decorrenza dall'1 gennaio 1999, anche
la comunicazione dell'esito della liquidazione, tuttavia suscettibile
di modifica a seguito di chiarimenti forniti dal contribuente stesso.
Ne'  l'art. 13  del  d.P.R.  n. 602/1973  poteva  ritenersi  idoneo a
colmare  la carenza conoscitiva dell'an e del quantum definitivo, con
la  pubblicazione del verbale di consegna dei ruoli all'Intendenza di
finanza  nei  locali  dell'ufficio impositore, come dimostra il fatto
che,  comunque,  ai  fini dell'opponibilita' il termine decorreva pur
sempre  dalla  notifica  della  cartella  recante  il ruolo, ai sensi
dell'art. 21  del  d.lgs.  n. 546/1992,  e  che l'art. 74 della legge
n. 21 novembre 2000, n. 342 per le rendite catastali ha espressamente
sostituito  la  notifica  alla  pubblicazione  negli albi comunali; a
conferma  di  cio' l'art. 13 suddetto e' stato abrogato dal d.lgs. 26
febbraio 1999, n. 46.
    Infine,   per   la   notifica  della  cartella  di  pagamento  al
contribuente l'art. 25 prevedeva un termine, peraltro ordinatorio, ma
tale  termine decorreva dalla consegna dei ruoli all'esattore, per la
quale, come si e' visto, non vi era alcun limite temporale. Se questo
era, ed e' tuttora con alcune modifiche formali, il quadro normativo,
la  conoscenza  del  suo  debito  da pane del contribuente, derivante
dalla  rettifica liquidazione della sua dichiarazione, ex art. 36-bis
d.P.R  n. 600/1973,  poteva avvenire in un tempo indeterminato, come,
del  resto,  nella  realta'  effettuale avveniva e tuttora avviene. A
meno  di  non  ipotizzare.  nel  silenzio  della  legge,  il  termine
prescrizionale  di  10  anni  previsto  dall'art. 2946  c.c.,  per la
notifica della cartella.
    Ma  questa  ipotesi  non  e'  percorribile, anzitutto perche' per
detto  articolo si prescrivono in 10 anni i diritti e nel caso di cui
trattasi   non   puo'   parlarsi   di   diritto  dell'amministrazione
finanziaria,   intesa  come  Ufficio  impositore  ed  esattore,  alla
riscossione,  in  quanto esso diverrebbe tale proprio con la notifica
del molo, attraverso l'atto recettizio rappresentato dalla cartella o
dall'avviso  di mora non impugnati, a meno di non voler considerare i
moli  formati  ex  art. 36-bis  non  impugnabili ipso iure, il che da
nessuna norma e' previsto.
    Tuttavia, volendo prescindere da quanto sopra, tenuto conto della
normativa  fin  qui  analizzata, potrebbe presumersi che il termine a
quo  per  la  decorrenza  dei 10 anni decorra dal termine ad quem per
l'iscrizione  a  molo,  che  poteva avvenire, in virtu' del combinato
disposto  degli  artt.  17  del  d.P.R.  n. 602/1973  e 43 del d.P.R.
n. 600/1973,   entro   5   anni  (oggi  4)  dal  31/12  dell'anno  di
presentazione della dichiarazione. In definitiva, quindi, la cartella
potrebbe  essere  notificata al contribuente anche dopo ben 15 anni e
mezzo circa da tale presentazione.
    Ne'  sarebbe  possibile individuare il termine a quo suddetto nel
momento  della  presentazione  della  dichiarazione, non solo perche'
unicamente  sulla  base  della  dichiarazione  del contribuente e dei
versamenti   ad  essa  corrispondenti  mancherebbe  il  diritto  alla
riscossione  di  un credito certo e liquido, ma anche, e soprattutto,
proprio   per   la   previsione  normativa  della  procedura  per  la
correzione-liquidazione      della      dichiarazione,      innescata
dall'art. 36-bis  del  d.P.R.  n. 600/1973,  che  prevede  il termine
decadenziale  quinquennale (ora biennale) di cui al succitato art. 17
del  d.P.R.  n. 602/1973,  il quale, sia pure non posto nei confronti
del   contribuente,   confliggerebbe  con  quello  decennale  di  cui
trattasi,  per la assoluta assenza di una ratio con esso compatibile.
Comunque,   sempre   prescindendo   dai   motivi   ostativi  fin  qui
evidenziati,   il  termine  decennale  ex  art. 2946  c.c.,  sia  con
decorrenza   dalla   presentazione  della  dichiarazione,  che  dalla
iscrizione  a ruolo, non risulterebbe applicabile anche per motivi di
carattere sistematico.
    Infatti,  dalla sua adozione deriverebbe una situazione di iniqua
ed  irragionevole  disparita'  tra  chi non dichiara fedelmente o non
dichiara affatto i redditi posseduti, il quale avrebbe la garanzia di
conoscere la pretesa tributaria rispettivamente entro il termine di 5
o  6  (oggi 4 o 5) anni, stabilito, questa volta a pena di decadenza,
dall'art. 43    del    d.P.R.    n. 600/1973    per    la    notifica
dell'accertamento,   e   chi,   invece,  avendo  presentato  regolare
dichiarazione sia incorso in errori, il quale potrebbe conoscere tale
pretesa  anche dopo 10 o 15 anni e piu'. La disparita' di trattamento
rispetto  ai presupposti giuridici diviene poi ancor piu' evidente ed
irragionevole  ove si consideri che l'iscrizione a ruolo a seguito di
accertamento notificato ex art. 43 suddetto, avviene per acquiescenza
ad  esso  o  per passaggio in giudicato di una sentenza e cioe' sulla
base  di  un  diritto,  questa  volta  definitivo  e  non revocabile,
dell'amministrazione  finanziaria alla riscossione, per cui l'assenza
del  termine  per  la  notifica  della  cartella potrebbe in tal caso
ipotizzarsi  surrogata dall'art. 2946 c.c. Al contrario, l'iscrizione
a  ruolo  ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 avviene senza la notifica
di   un   preventivo   accertamento,   ma  solo  sulla  scorta  della
dichiarazione  dei  redditi  e  della  predetta attivita' istruttoria
introdotta,  come  si  e'  visto,  dal  1989  e senza alcuna garanzia
formale.   Ne   consegue,   potendo   l'amministrazione   finanziaria
commettere  errori  e/o omissioni nella correzione-liquidazione della
dichiarazione,   che   puo'   riguardare  anche  aspetti  sostanziali
dell'imposizione  quali  ad  esempio  il  riconoscimento  o  meno  di
deduzioni  o detrazioni, come dimostra il nutrito contenzioso ad essa
relativo,  di  nessun  diritto  alla  riscossione,  nel  senso  sopra
specificato,  puo'  parlarsi  e,  quindi,  tanto meno della possibile
applicazione dell'art. 2946 c.c. prefato.
    Rimane,  pertanto,  una  zona di indeterminatezza temporale nella
sequenza    per    la   notifica   dell'atto   impositivo   derivante
dall'applicazione dell'art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 come, del resto
esplicitamente  conferma  l'appello  di cui trattasi nel punto in cui
afferma  che, oltre il termine previsto per l'iscrizione a ruolo, nei
fatti,  come si e' visto, non controllabile dal contribuente, "nessun
altro termine puo' essere eccepito in senso di limite perentorio, ...
perche'  il termine perentorio deve essere in ogni caso espressamente
previsto ...".
    Ma  cio'  contravviene  alla fondamentale esigenza della certezza
del diritto, giacche' in tutte le manifestazioni della vita e percio'
anche  in  quelle  ed  in particolare nell'esercizio dei diritti, nel
compimento  dei doveri e nell'assolvimento degli obblighi il tempo e'
parametro   fondamentale,   che  ne  condiziona  l'adempimento  e  ne
determina  gli  effetti.  Tale assunto deve intendersi implicitamente
insito  nel  precetto  dettato  dall'art. 23  della  Costituzione, in
quanto  la  legge  che  impone  una prestazione patrimoniale non puo'
compiutamente  considerarsi  tale se non indica il tempo, inteso come
momento  determinato  o  arco  temporale  delimitato in cui essa deve
essere   resa,  cosi  come  tipicamente  avviene  proprio  nel  campo
tributario.
    Anche i successivi articoli 31, 41 e 47 sottendono la definizione
dei rapporti debitori entro tempi certi, in quanto se cosi' non fosse
ne risulterebbe incerta la disponibilita' e quindi impedito l'impiego
di  mezzi  finanziari  liquidi  in  favore  della  famiglia  o  nelle
attivita'   economiche   o   nel   risparmio  o  nell'acquisto  della
abitazione,  tanto  piu'  che i rapporti di cui trattasi si replicano
normalmente  con cadenza annuale, per effetto delle dichiarazioni dei
redditi,   cui   corrispondono   autonome   obbligazioni  tributarie.
Altresi',  proprio  con  riferimento  a  tali  obbligazioni,  sarebbe
compromesso   il  principio  della  contribuzione  in  ragione  della
capacita'   contributiva,   statuito   dall'art. 53,  dato  che  tale
capacita'  non  puo'  presumersi cristallizzata a tempo indeterminato
con  riferimento a ciascuna dichiarazione, in presenza delle esigenze
di  impiego di meni finanziari di cui sopra, continuamente mutevoli a
cui espone il fluire della vita socio-economica. Ne' puo' immaginarsi
a tempo indeterminato l'obbligo di conservazione della documentazione
relativa  adette dichiarazioni, per cui, in assenza di essa, potrebbe
risultare   compromesso   anche   il  diritto  alla  difesa  tutelato
dall'art. 24,  come  confermano  anche  le  note  di  commento a tale
articolo le quali, sulla base della giurisprudenza costituzionale, al
capoverso  "limiti  di  tempo"  affermano, tra l'altro che, "occorre,
tuttavia   che   tali  limiti  non  si  traducano  in  preclusione  o
impedimenti  di  una  effettiva  tutela della situazione di vantaggio
(Cort.  cost.  118/1963, 2/1964, 26 e 87/1969, 10/1970, 24 e 85/1973,
43/1974,  372/1988);  cio'  che  puo'  avvenire quando ... il termine
dilatorio  sia  irragionevolmente lungo (Cort. cost. 125/69). Secondo
quanto ha sentenziato la Corte cost. la congruita' di un termine deve
essere  valutata  tanto in rapporto all'interesse del soggetto che ha
l'onere di compiere un certo atto per salvaguardare i propri diritti,
quanto  in relazione alla finzione assegnata all'istituto nel sistema
dell'intero    ordinamento   giuridico".   (Crisafulli   -   Paladin:
Commentario Breve alla Costituzione - CEDAM Padova 1990).
    Ma,   a   parte   l'autorevolezza   della  giurisprudenza  teste'
riportata,  la  sicura  conferma  che  il diritto alla difesa risulta
violato  in  assenza di un termine di decadenza per la notifica della
cartella  esattoriale,  sta nello stesso d.P.R. n. 600/1973, il quale
all'art. 3  faceva e tuttora fa obbligo ai contribuenti di conservare
la   documentazione   relativa   alla   dichiarazione   e  cioe'  "le
certificazioni dei sostituti d'imposta, nonche' i documenti probatori
dei  crediti  d'imposta, dei versamenti eseguiti con riferimento alla
dichiarazione dei redditi e degli oneri deducibili o detraibili ...",
per  la  durata  o  il periodo, previsto dall'art. 43, ovvero fino al
termine  di  decadenza  dei cinque o sei anni, oggi quattro o cinque,
entro  il  quale  l'Erario puo' notificare l'accertamento a fronte di
dichiarazione infedele o omessa.
    Il  che', se da un canto e' in perfetta sintonia con i termini di
decadenza  prefati,  trascorsi  i  quali i contribuenti meno corretti
possono   sentirsi  al  sicuro  anche  eliminando  la  documentazione
relativa   ai  redditi  dichiarati  infedelmente  o  non  dichiarati,
dall'altro  rende  ancor piu' stridente al confronto la condizione di
soggezione  di  chi,  avendo  correttamente  dichiarato,  elimini  la
documentazione  trascorso il termine previsto dall'art. 43 del d.P.R.
n. 600/1973,  a  cio'  legittimato  dal  suddetto art. 3 dello stesso
decreto.  Egli, infatti, cosi' facendo, nell'assenza di un termine di
decadenza   per   la   notifica   della   cartella   derivante  dalla
riliquidazione-rettifica della dichiarazione ex art. 36-bis, poteva e
puo'  trovarsi  esposto  alla  pretesa  erariale, senza avere piu' la
documentazione  a  sostegno  della  sua  dichiarazione, vedendo cosi'
violato in modo paradossale il suo diritto alla difesa.
    Nondimeno,  dati  gli  effetti  aberranti,  perche'  inversamente
rapportati alla correttezza dei comportamenti, che l'indeterminatezza
temporale de qua produce tra i contribuenti, ne risultano, violato il
principio   dell'uguaglianza   dei   cittadini  davanti  alla  legge,
proclamato  dall'art. 3,  e  disatteso  il precetto operativo dettato
dall'art. 97     del     buon    andamento    e    dell'imparzialita'
dell'amministrazione pubblica.
    Si  osserva,  per completezza, e nonostante piu' di una pronuncia
giurisprudenziale  (Comm.  Centr.  Sez.  XXI - dec. 3513 dell'11/2 27
ottobre  1994,  CTR del Lazio 18 del 21 febbraio 1997 e da ultimo CTP
di  Milano  sent.  35/34/01  dell'11  aprile  2001)  che  non sarebbe
possibile   correggere   tali   effetti  in  sede  interpretativa  ed
applicativa  della  legge,  riconducendo  la  notifica della cartella
esattoriale   o   dell'avviso   di   mora   al  termine  decadenziale
dell'iscrizione  a  ruolo previsto dall'art. 17 del d.P.R n. 602/1973
nella  versione  in  vigore  fino  al  30  giugno 1999, in quanto, in
ordinata  sequenza, era prevista dallo stesso articolo e nello stesso
termine  la consegna dei ruoli dall'ufficio impositore all'intendente
di finanza, che li rendeva esecutivi ai sensi del successivo art. 23,
da  questi  all'esattore,  ai  sensi  dell'art. 24  e,  solo dopo, la
notifica al contribuente ai sensi dell'art. 25. Ed a conferma di tale
tesi  si  e'  espressa la Suprema Corte di cassazione con le sentenze
nn. 7662 del 1999 e 3413 del 2001.
    E'   importante   sottolineare,   tuttavia,   ai   fini  che  qui
interessano,   che   la  prima  di  esse,  dopo  la  pronuncia  della
impossibilita'  di cui sopra, perche' la legge non prevede che "oltre
alla iscrizione a molo e alla consegna dello stesso all'intendente di
finanza,  debbano  essere effettuati altri adempimenti per evitare la
decadenza   della  pretesa  tributaria."  e  perche'  "nessuna  norma
stabilisce,  in particolare che, oltre alla formazione e consegna del
molo,  debba  essere  emesso un ulteriore atto, di natura recettizia,
col  quale  la  pretesa  tributaria  sia  portata  a  conoscenza  del
contribuente",  per  naturale  conseguenza  logica affionta e rigetta
anche  l'obiezione  mossa  dalla  sentenza cassata, per la quale "non
poteva  accogliersi  la  tesi  dell'amministrazione,  secondo  cui il
termine  quinquennale  (di  decadenza) doveva ritenersi osservato con
l'iscrizione  a  ruolo,  ...  ,  perche' tale tesi condurrebbe ad una
arbitraria  possibilita' di dilatazione del termine entro il quale il
contribuente e' soggetto all'azione esecutiva del fisco."
    Ma  la  motivazione del rigetto e' palesemente viziata da errore,
giacche'  si  fonda  sul  termine  previsto  dall'art. 25  del d.P.R.
n. 602/1973  per  la  notifica della cartella da parte dell'esattore,
senza tener conto che detto termine, non sola. era ed e' ordinatorio,
ma  decorreva  e  decorre dalla consegna del ruolo all'esattore (oggi
concessionario  della  riscossione)  per  la quale, a sua volta, come
dinanzi   eccepito,   non   era,   all'epoca   di  riferimento  della
controversia  di cui trattasi e tuttora non e' previsto alcun termine
decadenziale.   Contrariamente,  quindi,  a  quanto  ha  statuito  la
succitata  sentenza  sussisteva  e sussiste la vacatio procedimentale
della  legislazione  impugnata, che comporta l'"indefinita soggezione
del contribuente all'azione esecutiva del fisco".
    Non   resta,  pertanto,  che  ipotizzare  l'incompatibilita'  dei
quattro  suddetti  articoli  di  legge  con  il coacervo dei principi
costituzionali  teste'  esclusi,  nella  parte  in cui non fissano un
termine    decadenziale,   decorrente   dalla   presentazione   della
dichiarazione  dei redditi o dal 31/12 dell'anno della presentazione,
per   la   notifica   della   cartella  esattoriale  derivante  dalla
liquidazione   di   essa,   prevista   dall'art. 36-bis   del  d.P.R.
n. 600/1973.