Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r.g. appelli 6206/1999 depositato il 16 settembre 1999, avverso la sentenza n. 512/2/1998 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli da: Imposte dirette di Napoli II Ufficio; controparte: Dodo D'Angio' S.r.l. in liq., residente a Napoli in via Nolana n. 28, rappresentato da: Alvino Giovanni, residente a Napoli in via S. Domenico n. 12, in qualita' di liquidatore, difeso da D'Urso Lucio, residente a Napoli, in Corso Umberto I n. 381. Atto impugnato: avv. Di Mora n. 1500869 - IRPEG + ILOR 88. Svolgimento del processo A seguito di avviso di mora notificatole il 20 novembre 1997, relativamente al periodo d'imposta 1 gennaio - 4 ottobre 1988, la S.r.l. Dodo D'Angio' il 5 dicembre 1997 notifico' ricorso al II Ufficio distrettuale II. DD. di Napoli, poi depositato nei termini alla Commissione tributaria provinciale, con il quale eccepi' anzitutto l'intempestivita' dell'avviso, in quanto notificato oltre il termine previsto dall'art 36-bis del d.P.R. 600/1973, che dovrebbe intendersi, secondo la ricorrente, a pena di decadenza e riferito all'iscrizione a ruolo; osservo' poi che nessuna cartella era stata in precedenza notificata, per cui era venuta a conoscenza della pretesa erariale solo con l'avviso de quo, ovvero a ben 4 anni dall'emissione del ruolo ed a 9 dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, venendo cosi compromesso il diritto alla difesa. Nel merito, imputo' ad errore l'importo IRPEG di L. 3.083.013 iscritto a ruolo, avendo subito ritenute per L. 20.077.000 regolarmente esposte in dichiarazione. Il 5 febbraio 1998, ovvero oltre il termine previsto dal d.lgs. 546/1992, l'Ufficio si costitui' in giudizio ed articolo' le sue controdeduzioni in 3 punti. Al primo preciso' che il termine del 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, previsto dall'art. 36-bis, ha solo natura acceleratoria e non e' perentorio, mentre lo e' quello previsto dal successivo art. 43 del d.P.R. 600/1973, cui fa rinvio l'art. 17 del d.P.R. 602/1973, per la iscrizione a ruolo; al secondo punto contesto' le doglianze della Societa' relativamente all'importo iscritto a ruolo, in quanto dovuto alla discordanza fra le ritenute esposte in dichiarazione a quelle effettivamente subite e documentate; al terzo ribadi' che l'iscrizione a ruolo era stata fatta nel 1993 e cioe' nel termine previsto dal prefato art. 17 del d.P.R. n. 602/1973, per cui ogni ritardo andava contestato all'esattore; sottolineo', infine, che la documentazione relativa alle ritenute andava conservata per 10 anni, conformemente alla normativa civilistica cui fa rinvio l'art. 22 del d.P.R. n. 600/1973. La Commissione accolse il ricorso della Societa', motivando la sentenza anzitutto con la mancanza di una precedente notifica della cartella esattoriale, mentre dall'avviso di mora non era dato individuare il perche' dell'iscrizione a ruolo dell'IRPEG per l'importo di L. 3.083.013 e dell'ILOR per quello di L. 185.000, oltre interessi e soprattasse, tanto piu' che i relativi imponibili, recati dall'avviso stesso, corrispondevano a quelli risultanti dalla copia della dichiarazione prodotta dalla ricorrente Societa' e che dalla documentazione in atti non era stato possibile individuare le ritenute escluse dall'Ufficio; nei fatti, concluse la sentenza, l'avviso di mora era stato notificato ad oltre 6 anni dal termine del 31 dicembre 1990, previsto dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, per il controllo della dichiarazione afferente il 1988 e presentata nel 1989. Detta sentenza fu impugnata nei termini con l'appello di cui trattasi, nel quale l'Ufficio contesto', in primis, l'affermazione secondo la quale nulla esso avrebbe controdedotto circa l'inosservanza del termine prescritto dall'art. 36-bis prefato ed al tempo trascorso tra la dichiarazione e la pretesa erariale, mentre invece cio' era stato ampiamente confutato. In realta', nella sentenza e' detto che l'Ufficio "non contesta" la circostanza che nessuna cartella era stata notificata prima dell'avviso di mora notificato il 20 novembre 1997. Osservo' poi che eventuali difetti della notifica dell'avviso di mora andavano addebitati all'esattore e che la sua tardivita' si era tradotta in un vantaggio per la Societa' contribuente, atteso che nessun aggravio ne era ad essa derivato, rispetto alle somme tempestivamente iscritte a ruolo; il ritardo, comunque, era dovuto al cambio della gestione esattoriale ed alle ricerche rese necessarie dallo stato di liquidazione della ricorrente. Nel merito, venne poi contestata l'affermazione della sentenza secondo la quale l'esame dell'avviso di mora non consentiva di individuare i motivi dell'iscrizione a molo, giacche' tali motivi erano stati individuati dalla parte e precisati dall'Ufficio. Eccepi', ancora, che la sentenza avesse preso in considerazione l'ILOR che la parte non aveva contestato, nonche' la corrispondenza tra gli imponibili esposti in dichiarazione e quelli risultanti dall'avviso di mora e, all'affermazione della Commissione, secondo la quale dalla documentazione in atti non era stato possibile individuare eventuali somme escluse dall'Ufficio, l'appello rispose che le iscrizioni a ruolo ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973, scaturendo da situazioni chiare, riscontrabili ictu oculi, non abbisognano di motivazioni; tale individuazione, tuttavia, sarebbe stata controdeduzioni) ed aggiungendovi gli aggi esattoriali. Osservo', infine, che sarebbe bastata leggere la documentazione di parte per trovarvi 12 fatture con ritenute operate anziche' subite. Il lungo appello, ribadito che la ritardata notifica dell'avviso di mora si era tradotta in vantaggio per la Societa', aggiunse che nessun altro termine perentorio, oltre quello per l'iscrizione a ruolo, puo' essere eccepito in materia di riscossione e concluse chiedendo l'annullamento della sentenza e la condanna dell'appellata alle spese di giudizio. Quest'ultima controdedusse nei termini, chiedendo preliminarmente la conferma della sentenza; fece presente, poi, che l'Ufficio non avrebbe potuto muovere nuove eccezioni, ai sensi dell'art. 57 del d.lgs. 546/1992, rilevando in proposito che non aveva contestato in primo grado la documentazione contabile allegata al ricorso introduttivo e costituita dai versamenti a saldo nonche' dalle ritenute subite dai propri clienti, comprovate in parte dalle apposite certificazioni ed in parte da copie di fatture emesse. Concluse chiedendo il rigetto dell'appello con vittoria delle spese ed allego' copie di fogli del libro giornale. In sede di pubblica udienza le parti si riportarono alle rispettive richieste formulate negli atti processuali. Motivi della decisione Nel merito, l'appello, all'osservazione della Commissione secondo la quale l'esame del solo avviso di mora non aveva consentito di individuare i motivi dell'iscrizione a molo, rispose che tali motivi erano stati invece individuati dalla parte e precisati dall'Ufficio. Cio', pero', non puo' ritenersi sufficiente per invalidare l'osservazione, in quanto il contenuto assolutamente ermetico dell'avviso di mora de quo, non poteva consentire di cogliere i suddetti motivi, che devono costituire invece requisito oggettivamente essenziale dell'atto amministrativo ai fini della difesa del suo destinatario, tanto piu' che l'avviso medesimo confermava gli imponibili dichiarati. Altrettanto infondata si dimostra l'affermazione apodittica secondo la quale non abbisognano di motivazioni le iscrizioni ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973. In particolare, l'Ufficio non aveva mosso alcun rilievo, nelle sue controdeduzioni, circa la documentazione delle ritenute subite dalla societa' ed allegata in fotocopia al ricorso introduttivo, anche se essa era costituita solo per L. 14.923.369 da 18 regolari certificazioni e per L. 4.853.883 da 12 fatture, in verita' non idonee a tale documentazione, per un ammontare complessivo di L. 19.777.252 e, quindi, con una differenza di L. 300.000 rispetto all'importo di L. 20.077.000 esposto nella dichiarazione mod. 760; per l'esclusione dell'importo restante, fino al raggiungimento di quello iscritto a ruolo, l'ufficio nessuna spiegazione aveva dato, per cui appare giustificata l'affermazione contenuta nella sentenza, secondo la quale dalla documentazione in atti non era stato possibile individuare eventuali somme escluse dall'ufficio stesso il quale, nell'appello considero' le ritenute esposte nelle fatture emesse dalla societa' ricorrente come operate e non come subite, il che, peraltro, avrebbe comportato l'addebito per l'importo suesposto di L. 4.853.883, e non per i 3.054.000 che si evincono dalla differenza tra i 20.077.000 ed i 17.023.000 esposti nelle. controdeduzioni dell'ufficio, ma divenuti 3.083.013 in sede di iscrizione a ruolo. Cio' induce nel sospetto che alla base dell'avviso de quo vi siano altri errori, per cui si appalesa piu' che legittimo il rilievo circa la impossibilita' di individuare i motivi dell'iscrizione a ruolo, che emerge dalla sentenza. Di maggiore portata si presenta la controversia sotto il profilo procedurale ovvero della tempestiva conoscenza della pretesa erariale da parte del contribuente, come e' stato rilevato nella impugnata sentenza. Invero, la vexata quaestio circa la perentorieta' o ordinarieta' del termine fissato dall'art. 36-bis per la liquidazione delle imposte in base alle dichiarazioni presentate ha eluso, forse, l'aspetto piu' saliente connesso a tale liquidazione, che e' la conoscenza di essa e del conseguente titolo di debito, da parte del contribuente. Il termine suddetto, infatti, trova, comunque, il suo limite temporale nel termine per l'iscrizione a ruolo previsto, questa volta a pena di decadenza, dall'art. 17 del d.P.R n. 602/1973, che fa rinvio all'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973. Sicche' e' sulla natura e sulla ratio di questo termine che occorre focalizzare l'attenzione perche', essendo posto dalla legge a pena di decadenza, sembrerebbe costituire anche il limite entro il quale l'attivita' dell'amministrazione finanziaria per la formazione del ruolo debba essere portata a conoscenza della cantroparte interessata, avvero del contribuente. Il termine decadenziale, si osserva, presuppone l'esistenza di una controparte, nei cui confronti deve essere rispettato, il che, per conseguenza, sinallagmatica, comporta il diritto al controllo che la controparte deve poter esercitare; ne discende che, affinche' cio' si verifichi, la controparte deve conoscenza dell'esercizio del diritto nei suoi confronti, proprio entro il termine decadenziale, attraverso un atto che, percio', deve considerarsi recettizio. Nella fattispecie di cui trattasi, quindi, l'iscrizione a molo o semplicemente il ruolo, che e' l'atto esecutivo per la riscossione, non dovrebbe potersi considerare tale se non con la notifica alla controparte entro un termine decadenziale. Ma, nella soggetta materia, cosi' non era e non e'. Infatti e' pur vero che l'art. 17 del d.P.R. n. 602/1973 prevedeva un termine di decadenza, ma non per la notifica alla controparte, bensi' per la formazione e la consegna dei ruoli dall'ufficio impositore all'intendenza di finanza, di tal che' detto termine risultava posto all'amministrazione finanziaria unicamente nei confronti di se stessa e non del contribuente. Il successivo art. 23, nella stesura in vigore fino al 31 dicembre 1997, prevedeva la apposizione, da parte dell'Intendente di finanza, del visto di esecutorieta' dei ruoli, i quali, ai sensi dell'art. 24, venivano poi consegnati all'esattore, prescrivendo unicamente che la consegna avvenisse con 90 giorni di anticipo rispetto alla scadenza del pagamento, ma senza fissare, per tale scadenza, alcun termine decadenziale e, di conseguenza, neanche per la consegna dei ruoli. Fino a questo punto, quindi, al contribuente nessuna notizia della pretesa erariale nei suoi confronti era pervenuta, se non attraverso l'attivita' istruttoria prevista dal 3o comma dell'art. 36-bis, introdotto con decorrenza dall'1 gennaio 1989, per la quale erano previsti, senza alcuna prescrizione formale, contatti telefonici o per posta e, con decorrenza dall'1 gennaio 1999, anche la comunicazione dell'esito della liquidazione, tuttavia suscettibile di modifica a seguito di chiarimenti forniti dal contribuente stesso. Ne' l'art. 13 del d.P.R. n. 602/1973 poteva ritenersi idoneo a colmare la carenza conoscitiva dell'an e del quantum definitivo, con la pubblicazione del verbale di consegna dei ruoli all'Intendenza di finanza nei locali dell'ufficio impositore, come dimostra il fatto che, comunque, ai fini dell'opponibilita' il termine decorreva pur sempre dalla notifica della cartella recante il ruolo, ai sensi dell'art. 21 del d.lgs. n. 546/1992, e che l'art. 74 della legge n. 21 novembre 2000, n. 342 per le rendite catastali ha espressamente sostituito la notifica alla pubblicazione negli albi comunali; a conferma di cio' l'art. 13 suddetto e' stato abrogato dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. Infine, per la notifica della cartella di pagamento al contribuente l'art. 25 prevedeva un termine, peraltro ordinatorio, ma tale termine decorreva dalla consegna dei ruoli all'esattore, per la quale, come si e' visto, non vi era alcun limite temporale. Se questo era, ed e' tuttora con alcune modifiche formali, il quadro normativo, la conoscenza del suo debito da pane del contribuente, derivante dalla rettifica liquidazione della sua dichiarazione, ex art. 36-bis d.P.R n. 600/1973, poteva avvenire in un tempo indeterminato, come, del resto, nella realta' effettuale avveniva e tuttora avviene. A meno di non ipotizzare. nel silenzio della legge, il termine prescrizionale di 10 anni previsto dall'art. 2946 c.c., per la notifica della cartella. Ma questa ipotesi non e' percorribile, anzitutto perche' per detto articolo si prescrivono in 10 anni i diritti e nel caso di cui trattasi non puo' parlarsi di diritto dell'amministrazione finanziaria, intesa come Ufficio impositore ed esattore, alla riscossione, in quanto esso diverrebbe tale proprio con la notifica del molo, attraverso l'atto recettizio rappresentato dalla cartella o dall'avviso di mora non impugnati, a meno di non voler considerare i moli formati ex art. 36-bis non impugnabili ipso iure, il che da nessuna norma e' previsto. Tuttavia, volendo prescindere da quanto sopra, tenuto conto della normativa fin qui analizzata, potrebbe presumersi che il termine a quo per la decorrenza dei 10 anni decorra dal termine ad quem per l'iscrizione a molo, che poteva avvenire, in virtu' del combinato disposto degli artt. 17 del d.P.R. n. 602/1973 e 43 del d.P.R. n. 600/1973, entro 5 anni (oggi 4) dal 31/12 dell'anno di presentazione della dichiarazione. In definitiva, quindi, la cartella potrebbe essere notificata al contribuente anche dopo ben 15 anni e mezzo circa da tale presentazione. Ne' sarebbe possibile individuare il termine a quo suddetto nel momento della presentazione della dichiarazione, non solo perche' unicamente sulla base della dichiarazione del contribuente e dei versamenti ad essa corrispondenti mancherebbe il diritto alla riscossione di un credito certo e liquido, ma anche, e soprattutto, proprio per la previsione normativa della procedura per la correzione-liquidazione della dichiarazione, innescata dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, che prevede il termine decadenziale quinquennale (ora biennale) di cui al succitato art. 17 del d.P.R. n. 602/1973, il quale, sia pure non posto nei confronti del contribuente, confliggerebbe con quello decennale di cui trattasi, per la assoluta assenza di una ratio con esso compatibile. Comunque, sempre prescindendo dai motivi ostativi fin qui evidenziati, il termine decennale ex art. 2946 c.c., sia con decorrenza dalla presentazione della dichiarazione, che dalla iscrizione a ruolo, non risulterebbe applicabile anche per motivi di carattere sistematico. Infatti, dalla sua adozione deriverebbe una situazione di iniqua ed irragionevole disparita' tra chi non dichiara fedelmente o non dichiara affatto i redditi posseduti, il quale avrebbe la garanzia di conoscere la pretesa tributaria rispettivamente entro il termine di 5 o 6 (oggi 4 o 5) anni, stabilito, questa volta a pena di decadenza, dall'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per la notifica dell'accertamento, e chi, invece, avendo presentato regolare dichiarazione sia incorso in errori, il quale potrebbe conoscere tale pretesa anche dopo 10 o 15 anni e piu'. La disparita' di trattamento rispetto ai presupposti giuridici diviene poi ancor piu' evidente ed irragionevole ove si consideri che l'iscrizione a ruolo a seguito di accertamento notificato ex art. 43 suddetto, avviene per acquiescenza ad esso o per passaggio in giudicato di una sentenza e cioe' sulla base di un diritto, questa volta definitivo e non revocabile, dell'amministrazione finanziaria alla riscossione, per cui l'assenza del termine per la notifica della cartella potrebbe in tal caso ipotizzarsi surrogata dall'art. 2946 c.c. Al contrario, l'iscrizione a ruolo ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 avviene senza la notifica di un preventivo accertamento, ma solo sulla scorta della dichiarazione dei redditi e della predetta attivita' istruttoria introdotta, come si e' visto, dal 1989 e senza alcuna garanzia formale. Ne consegue, potendo l'amministrazione finanziaria commettere errori e/o omissioni nella correzione-liquidazione della dichiarazione, che puo' riguardare anche aspetti sostanziali dell'imposizione quali ad esempio il riconoscimento o meno di deduzioni o detrazioni, come dimostra il nutrito contenzioso ad essa relativo, di nessun diritto alla riscossione, nel senso sopra specificato, puo' parlarsi e, quindi, tanto meno della possibile applicazione dell'art. 2946 c.c. prefato. Rimane, pertanto, una zona di indeterminatezza temporale nella sequenza per la notifica dell'atto impositivo derivante dall'applicazione dell'art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 come, del resto esplicitamente conferma l'appello di cui trattasi nel punto in cui afferma che, oltre il termine previsto per l'iscrizione a ruolo, nei fatti, come si e' visto, non controllabile dal contribuente, "nessun altro termine puo' essere eccepito in senso di limite perentorio, ... perche' il termine perentorio deve essere in ogni caso espressamente previsto ...". Ma cio' contravviene alla fondamentale esigenza della certezza del diritto, giacche' in tutte le manifestazioni della vita e percio' anche in quelle ed in particolare nell'esercizio dei diritti, nel compimento dei doveri e nell'assolvimento degli obblighi il tempo e' parametro fondamentale, che ne condiziona l'adempimento e ne determina gli effetti. Tale assunto deve intendersi implicitamente insito nel precetto dettato dall'art. 23 della Costituzione, in quanto la legge che impone una prestazione patrimoniale non puo' compiutamente considerarsi tale se non indica il tempo, inteso come momento determinato o arco temporale delimitato in cui essa deve essere resa, cosi come tipicamente avviene proprio nel campo tributario. Anche i successivi articoli 31, 41 e 47 sottendono la definizione dei rapporti debitori entro tempi certi, in quanto se cosi' non fosse ne risulterebbe incerta la disponibilita' e quindi impedito l'impiego di mezzi finanziari liquidi in favore della famiglia o nelle attivita' economiche o nel risparmio o nell'acquisto della abitazione, tanto piu' che i rapporti di cui trattasi si replicano normalmente con cadenza annuale, per effetto delle dichiarazioni dei redditi, cui corrispondono autonome obbligazioni tributarie. Altresi', proprio con riferimento a tali obbligazioni, sarebbe compromesso il principio della contribuzione in ragione della capacita' contributiva, statuito dall'art. 53, dato che tale capacita' non puo' presumersi cristallizzata a tempo indeterminato con riferimento a ciascuna dichiarazione, in presenza delle esigenze di impiego di meni finanziari di cui sopra, continuamente mutevoli a cui espone il fluire della vita socio-economica. Ne' puo' immaginarsi a tempo indeterminato l'obbligo di conservazione della documentazione relativa adette dichiarazioni, per cui, in assenza di essa, potrebbe risultare compromesso anche il diritto alla difesa tutelato dall'art. 24, come confermano anche le note di commento a tale articolo le quali, sulla base della giurisprudenza costituzionale, al capoverso "limiti di tempo" affermano, tra l'altro che, "occorre, tuttavia che tali limiti non si traducano in preclusione o impedimenti di una effettiva tutela della situazione di vantaggio (Cort. cost. 118/1963, 2/1964, 26 e 87/1969, 10/1970, 24 e 85/1973, 43/1974, 372/1988); cio' che puo' avvenire quando ... il termine dilatorio sia irragionevolmente lungo (Cort. cost. 125/69). Secondo quanto ha sentenziato la Corte cost. la congruita' di un termine deve essere valutata tanto in rapporto all'interesse del soggetto che ha l'onere di compiere un certo atto per salvaguardare i propri diritti, quanto in relazione alla finzione assegnata all'istituto nel sistema dell'intero ordinamento giuridico". (Crisafulli - Paladin: Commentario Breve alla Costituzione - CEDAM Padova 1990). Ma, a parte l'autorevolezza della giurisprudenza teste' riportata, la sicura conferma che il diritto alla difesa risulta violato in assenza di un termine di decadenza per la notifica della cartella esattoriale, sta nello stesso d.P.R. n. 600/1973, il quale all'art. 3 faceva e tuttora fa obbligo ai contribuenti di conservare la documentazione relativa alla dichiarazione e cioe' "le certificazioni dei sostituti d'imposta, nonche' i documenti probatori dei crediti d'imposta, dei versamenti eseguiti con riferimento alla dichiarazione dei redditi e degli oneri deducibili o detraibili ...", per la durata o il periodo, previsto dall'art. 43, ovvero fino al termine di decadenza dei cinque o sei anni, oggi quattro o cinque, entro il quale l'Erario puo' notificare l'accertamento a fronte di dichiarazione infedele o omessa. Il che', se da un canto e' in perfetta sintonia con i termini di decadenza prefati, trascorsi i quali i contribuenti meno corretti possono sentirsi al sicuro anche eliminando la documentazione relativa ai redditi dichiarati infedelmente o non dichiarati, dall'altro rende ancor piu' stridente al confronto la condizione di soggezione di chi, avendo correttamente dichiarato, elimini la documentazione trascorso il termine previsto dall'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, a cio' legittimato dal suddetto art. 3 dello stesso decreto. Egli, infatti, cosi' facendo, nell'assenza di un termine di decadenza per la notifica della cartella derivante dalla riliquidazione-rettifica della dichiarazione ex art. 36-bis, poteva e puo' trovarsi esposto alla pretesa erariale, senza avere piu' la documentazione a sostegno della sua dichiarazione, vedendo cosi' violato in modo paradossale il suo diritto alla difesa. Nondimeno, dati gli effetti aberranti, perche' inversamente rapportati alla correttezza dei comportamenti, che l'indeterminatezza temporale de qua produce tra i contribuenti, ne risultano, violato il principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, proclamato dall'art. 3, e disatteso il precetto operativo dettato dall'art. 97 del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione pubblica. Si osserva, per completezza, e nonostante piu' di una pronuncia giurisprudenziale (Comm. Centr. Sez. XXI - dec. 3513 dell'11/2 27 ottobre 1994, CTR del Lazio 18 del 21 febbraio 1997 e da ultimo CTP di Milano sent. 35/34/01 dell'11 aprile 2001) che non sarebbe possibile correggere tali effetti in sede interpretativa ed applicativa della legge, riconducendo la notifica della cartella esattoriale o dell'avviso di mora al termine decadenziale dell'iscrizione a ruolo previsto dall'art. 17 del d.P.R n. 602/1973 nella versione in vigore fino al 30 giugno 1999, in quanto, in ordinata sequenza, era prevista dallo stesso articolo e nello stesso termine la consegna dei ruoli dall'ufficio impositore all'intendente di finanza, che li rendeva esecutivi ai sensi del successivo art. 23, da questi all'esattore, ai sensi dell'art. 24 e, solo dopo, la notifica al contribuente ai sensi dell'art. 25. Ed a conferma di tale tesi si e' espressa la Suprema Corte di cassazione con le sentenze nn. 7662 del 1999 e 3413 del 2001. E' importante sottolineare, tuttavia, ai fini che qui interessano, che la prima di esse, dopo la pronuncia della impossibilita' di cui sopra, perche' la legge non prevede che "oltre alla iscrizione a molo e alla consegna dello stesso all'intendente di finanza, debbano essere effettuati altri adempimenti per evitare la decadenza della pretesa tributaria." e perche' "nessuna norma stabilisce, in particolare che, oltre alla formazione e consegna del molo, debba essere emesso un ulteriore atto, di natura recettizia, col quale la pretesa tributaria sia portata a conoscenza del contribuente", per naturale conseguenza logica affionta e rigetta anche l'obiezione mossa dalla sentenza cassata, per la quale "non poteva accogliersi la tesi dell'amministrazione, secondo cui il termine quinquennale (di decadenza) doveva ritenersi osservato con l'iscrizione a ruolo, ... , perche' tale tesi condurrebbe ad una arbitraria possibilita' di dilatazione del termine entro il quale il contribuente e' soggetto all'azione esecutiva del fisco." Ma la motivazione del rigetto e' palesemente viziata da errore, giacche' si fonda sul termine previsto dall'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 per la notifica della cartella da parte dell'esattore, senza tener conto che detto termine, non sola. era ed e' ordinatorio, ma decorreva e decorre dalla consegna del ruolo all'esattore (oggi concessionario della riscossione) per la quale, a sua volta, come dinanzi eccepito, non era, all'epoca di riferimento della controversia di cui trattasi e tuttora non e' previsto alcun termine decadenziale. Contrariamente, quindi, a quanto ha statuito la succitata sentenza sussisteva e sussiste la vacatio procedimentale della legislazione impugnata, che comporta l'"indefinita soggezione del contribuente all'azione esecutiva del fisco". Non resta, pertanto, che ipotizzare l'incompatibilita' dei quattro suddetti articoli di legge con il coacervo dei principi costituzionali teste' esclusi, nella parte in cui non fissano un termine decadenziale, decorrente dalla presentazione della dichiarazione dei redditi o dal 31/12 dell'anno della presentazione, per la notifica della cartella esattoriale derivante dalla liquidazione di essa, prevista dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973.